“Le è piaciuto!”
Lo scorso 15 febbraio sarebbe mancata solo tale frase alla motivazione della giudice Diamante Minucci nell’assolvere, perché il fatto non sussiste, l’imputato Massimo Raccuia: medico 46enne piemontese, in servizio presso l’ospedale Mauriziano di Torino, accusato da una collega della Croce Rossa di violenza sessuale e trascinato in tribunale nel 2011.
Violenza da una parte e fragilità dall’altra non sono bastate per una condanna ma reticenza, lacune e carenza di dettagli sono stati ritenuti più che sufficienti dall’intero roseo collegio della prima sezione penale del Tribunale di Torino per determinare un proscioglimento: nemmeno la “solidarietà femminile” è servita a raggiungere il risultato tanto sperato dalla vittima.
La donna ha affermato di aver manifestato il suo dissenso all’uomo e di aver provato disgusto subito dopo il rapporto con lui tuttavia non ha saputo argomentare in cosa consisteva tale malessere. Nella sentenza si legge: “Non urla. Non riferisce di sensazioni o condotte molto spesso riscontrabili in racconti di abuso sessuale, sensazioni di sporco, test di gravidanza, dolori. Pare abbia continuato il turno dopo gli abusi. Il racconto è inverosimile.”.
Ed è proprio così che prende corpo una delle sentenze più contestate di quest’ultimo periodo, una sentenza che, in quanto tale, pretende di essere rispettata: l’Associazione Nazionale Magistrati e gli avvocati penalisti torinesi infatti hanno mostrato la più totale solidarietà alla giudice Minucci che è stata immediatamente e brutalmente attaccata dalle associazioni femministe proprio in conseguenza di tale sentenza.
In definitiva dunque non esistono sentenze giuste o ingiuste poiché ad ogni giudice non è concesso di assistere in diretta ai fatti in esame: per decidere al meglio una causa infatti dovranno essergli sufficienti le prove richieste dalle parti e la legislazione dello Stato.
Quindi è proprio come disse una volta l’ex Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Torino Marcello Maddalena: “Chi entra in magistratura con l’idea di fare giustizia ci entra con il piede sbagliato.”.
Fabrizio Alberto Morabito